Cosa sono i KPI aziendali e come utilizzarli

Cosa sono i KPI aziendali e come utilizzarli - IPS Cloud

Un’azienda per funzionare ha bisogno di creare utile. Per fare questo, sono due i macro fattori su cui possiamo intervenire: l’aumento degli introiti e la riduzione dei costi. In entrambi i casi devo conoscere i dettagli della situazione attuale, fare un confronto con gli obiettivi che mi sono posto e definire quali sono le azioni che mi porteranno a raggiungerli. I KPI in tutto questo giocano un ruolo fondamentale, vediamo cosa sono e come sfruttarli al meglio per migliorare i risultati aziendali.

Misurare per migliorare

KPI è l’acronimo di Key Performance Indicators, cioè gli indicatori chiave delle prestazioni. Si tratta di numeri che misuro, non di giudizi più o meno soggettivi. Voglio citare una frase di Lord Kelvin (scienziato e ingegnere del diciannovesimo secolo) “Se non si può misurare qualcosa, non si può migliorarla”. Certamente questa affermazione è molto forte, ma racchiude una verità. Il primo passo per migliorare è avere dei valori oggettivi che mi dicono lo stato di un processo, altrimenti il rischio è di avere la sensazione che le cose stiano in un certo modo, quando in realtà non è così. E soprattutto i numeri mi permettono di sapere per certo se sto migliorando e di quanto. Ciò non significa che questi indicatori sono la soluzione di tutti i problemi o la bacchetta magica che trasforma tutto in oro. Le intuizioni e le idee delle persone restano la chiave per il miglioramento, ma con delle misure mirate e ben fatte, si ha a disposizione uno strumento molto potente per stimolare le idee e misurare la bontà dei cambiamenti che si implementano.

Un metodo per essere più efficienti

Un KPI può essere quindi qualunque parametro misurabile, che mi da informazioni utili sull’andamento di un settore aziendale. Nella maggior parte dei casi non è una cosa a se stante, ma è parte di un metodo. Di seguito ne schematizziamo i punti fondamentali, che andremo poi ad analizzare uno per uno.

  1. Definire l’area da monitorare e migliorare (es. economica, di marketing, produttiva, logistica, di qualità, degli acquisti, ecc.).
  2. Scegliere quali sono gli obiettivi e quali indicatori li descrivono meglio.
  3. Misurare lo stato dell’arte e quantificare gli obiettivi.
  4. Definire una periodicità di confronto degli indicatori con gli obiettivi.
  5. Tenere e implementare una lista di azioni pratiche per colmare il divario tra i valori misurati e quelli desiderati.
1. Definire l’area da monitorare e migliorare

Sicuramente il primo passo è quello di decidere dove voglio intervenire. Se si parte da zero è meglio iniziare con una sola area aziendale e concentrarsi su quella finché non si padroneggia il metodo e si iniziano a vedere i primi risultati. Far partire troppe cose insieme crea confusione e normalmente non si riescono a seguire tutte in modo efficace. Se c’è un’area chiaramente più in difficoltà di altre, si può iniziare da quella. Altrimenti è consigliabile scegliere prima un’area dove si hanno più competenze, o comunque persone che la gestiscono che hanno più attitudine al cambiamento. Questo permetterà di vedere prima i risultati e stimolare il cambiamento nelle altre aree. Se riesco a mettermi in tasca in fretta un esempio positivo, sarà più facile convincere chi è più riluttante a intraprendere questa strada.

2. Scegliere quali sono gli obiettivi e quali indicatori li descrivono meglio

La direzione in cui spesso ci muoviamo è quella di fare del nostro meglio per migliorare qualcosa il più possibile. Anche se sembra un approccio molto positivo, nasconde un problema: la mancanza di un obiettivo chiaro. In sua assenza è facile perdersi e andare in direzioni diverse senza raggiungere la meta. Inoltre si può avere la sensazione di aver fatto molto, ma i risultati concreti possono essere piccoli o addirittura assenti. Per questo è importante definire a priori dove si vuole arrivare e definirlo in modo oggettivo, con dei numeri, così siamo certi che sarà chiaro per chiunque. Inoltre un obiettivo non deve essere troppo complesso, a meno che non sia veramente necessario.

Esempi pratici di obiettivi e relativi indicatori

Proviamo a fare degli esempi pratici di possibili obiettivi. Nell’ambito della produzione, potrei prefissarmi di essere più efficiente, quindi ridurre i costi. Ma come dicevamo prima, devo trovare degli indicatori misurabili, oltre che facili da ottenere. Uno può essere il rapporto tra le ore vendute (usate per costificare il prodotto) e quelle realmente impiegate. Oppure il rapporto tra le ore effettivamente produttive e quelle di presenza degli operatori. Nel primo caso vedo se sto impiegando più tempo di quello preventivato e posso intervenire guardando nel dettaglio il processo produttivo. Può darsi che scopro di aver sbagliato a preventivare, ma non è detto che riesca a vendere il mio prodotto ad un prezzo più alto, quindi devo capire dove intervenire per ridurre i tempi. Oppure vedo che il preventivo era corretto, ma c’e un problema nel processo che lo rallenta e a quel punto agisco per rimuoverlo. Nel caso invece del rapporto ore produttive / ore presenza, potrei notare che il lavoro non è organizzato bene e gli operatori passano molto tempo in giro a cercare quello di cui hanno bisogno, togliendo tempo alla produzione vera e propria.

Passiamo ad un’altro esempio in un ambito diverso, le vendite. In quest’area potrei adottare tre macro obiettivi: l’ordinato annuale, magari suddiviso per aree geografiche; il margine minimo sulle commesse e il numero di nuovi clienti nell’anno. In questo caso, oltre ad avere degli indicatori che misurano questi tre valori, posso decidere di aggiungerne altri per meglio identificare i possibili problemi. Un esempio potrebbe essere il rapporto tra il numero di ordini e quello delle offerte, suddiviso per aree geografiche. Questo mi aiuterebbe a capire se in alcuni paesi sono interessati ai miei prodotti, ma forse non sono abbastanza competitivo sui prezzi. Potrei fare interventi mirati, piuttosto che decidere di lasciar perdere un paese per mettere più focus su un altro.

Ogni azienda e ogni settore aziendale ha le sue peculiarità. Sarebbe poco efficace provare a definire degli obiettivi standard che possano andare bene per tutti. A meno di quelli più generali, come ad esempio l’efficienza in produzione, la percentuale di scarti, il valore dell’ordinato, il valore del magazzino per arrivare a quelli economico-finanziari. Ma per essere davvero efficaci bisogna andare mirati, la cosa migliore è cercare di guardare alla propria azienda in modo distaccato, provando a porsi più domande possibili sulle eventuali aree di miglioramento e mettendo sempre in discussione le abitudini. Una delle cose migliori da fare è quella di confrontarsi con qualcuno di esterno. Non perché sia più capace di noi, ma semplicemente perché noi non vediamo più molte cose che sono diventate assodate e normali. Una persona che le vede per la prima volta, le nota e ci aiuta a vederle, oltre a portare un punto di vista diverso che quasi sempre racchiude spunti positivi.

La combinazione degli indicatori

Ci sono due motivi per combinare insieme degli indicatori, il primo è per aggregare dei micro obiettivi e farli diventare un unico obiettivo a più alto livello. In questo modo possiamo adattare il monitoraggio a tutti i livelli aziendali (questo tema verrà approfondito in seguito). Il secondo motivo è quello di rendere gli indicatori affidabili. Prendiamo l’esempio della produzione. Se l’operatore non dovesse registrare le ore produttive correttamente, magari vedremmo un indicatore ore preventivate / ore impiegate abbastanza alto. Ma il motivo potrebbe essere che le ore registrate sono meno di quelle realmente impiegate. Allo stesso modo potrei vedere l’indicatore ore produttive / ore presenza alto, ma anche qui perché le ore produttive non sono state registrate correttamente, in questo caso in eccesso. Se però creo un terzo indicatore che è il prodotto dei due precedenti, il risultato mi dirà sempre se c’è realmente un problema, anche se viene “nascosto” da uno dei due indicatori. Come abbiamo visto, nel primo caso l’errore sono le ore produttive inferiori a quelle reali, nel secondo invece sono le ore produttive maggiori di quelle effettive. Questo significa che se uno dei due indicatori erroneamente (o purtroppo a volte volontariamente) diventa migliore, l’atro peggiorerà, pertanto nel terzo (la combinazione dei due) l’errore si annulla e vedo un valore affidabile. Tenete conto che questo metodo funziona se ho solo un parametro potenzialmente inaffidabile.

Rendere le misure automatiche

Nei casi in cui i parametri potenzialmente errati possono essere più di uno o nei casi dove non posso applicare la combinazione degli indicatori per annullare l’errore, una soluzione è passare dalle rilevazioni manuali a quelle automatiche. Oggi la tecnologia permette di effettuare misurazioni automatiche e gestire i dati con costi molto contenuti. Questi sistemi si possono applicare potenzialmente a tutte le macchine e linee, anche quelle più obsolete, dotandole dei sensori mancanti. In questo modo, non solo si hanno sempre dei valori affidabili senza gli errori o le dimenticanze di un sistema manuale, ma si elimina il costo delle ore impiegate dagli addetti per rilevare i dati, inserirli in un computer, creare i report, ecc. Inoltre permettono la rilevazione e l’elaborazione di un numero di dati che non sarebbe possibile trattare manualmente. Quest’ultima caratteristica sta provocando una vera e propria rivoluzione nel modo di gestire le aziende e, come hanno fatto i computer negli anni 80, ci sta portando in una nuova era.

L’utilizzo delle medie mobili

A volte i valori puntuali che rileviamo sono troppo variabili o mancano di informazioni per essere significativi quando sono letti singolarmente. Ad esempio, se ogni fine giornata rileviamo la produttività di una macchina che lavora 8h al giorno, possiamo avere dei giorni in cui è bassa perché magari non ha concluso un pezzo entro la giornata. Se il pezzo aveva un tempo di ciclo lungo, diciamo di 3h, la macchina in 8h di turno ne ha conclusi 2. Pertanto le ore produttive registrate alla fine del turno saranno: 2pz x 3h = 6h, rapportate alle 8h danno una produttività del 75%, ma nelle ultime 2h in realtà ha lavorato. Ci sono due modi per ovviare a questo problema: non misurare la produttività in base al numero di pezzi prodotti, ma al numero di ore produttive effettive della macchina (anche qui i sistemi di rilevamento automatico ci vengono in aiuto), oppure calcolare la media mobile di un periodo ragionevole, che in questo caso potrebbe essere una settimana. La media va a filtrare le singole anomalie, dandoci un valore attendibile.

La media mobile non è altro che una media che ricalcolo ad ogni nuovo valore entrante sul periodo che ho scelto. Tornando all’esempio sopra, ogni fine turno, oltre a registrare il valore del giorno, calcolo la media degli ultimi 5 valori (ipotizzando di lavorare 5 giorni a settimana) e registro anche questo dato. Questa operazione la faccio ogni giorno, quindi avrò due serie di numeri: una dei valori giornalieri e l’altra delle medie degli ultimi 5 giorni. Se la immaginiamo su un grafico, possiamo vedere la media mobile come una curva smussata rispetto a quella a “denti di sega” dei valori puntuali.

3. Misurare lo stato dell’arte e quantificare gli obiettivi

Per poter quantificare gli obiettivi futuri dobbiamo prima sapere qual’è la situazione attuale. Una caratteristica fondamentale di un obiettivo è il fatto che sia raggiungibile. Altrimenti non ci darebbe un gran valore aggiunto, saremmo solo frustrati per il fatto che non riusciamo ad arrivarci e ad un certo punto lasceremmo perdere. Un obiettivo futuro dev’essere un aumento percentuale ragionevole rispetto ai valori di oggi. Ad esempio se oggi ho un’efficienza ore produttive / ore presenza del 78%, non ha senso darsi l’obiettivo di arrivare al 100% in sei mesi. Primo perché non sarà mai 100%, devo contare le pause delle persone; secondo perché le cose non si cambiano dalla sera alla mattina, ma sono processi che richiedono tempo e perseveranza. Sarebbe molto più ragionevole darsi come obiettivo un aumento di questo indicatore del 5%, che in sei mesi potrebbe essere già sfidante. Meglio un piccolo aumento costante nel tempo, che cercare di scalare l’Everest e lasciar perdere perché è troppo faticoso.

4. Definire una periodicità di confronto degli indicatori con gli obiettivi.

I KPI sono degli strumenti molto utili per identificare i problemi e aiutarci a migliorare. Ma dobbiamo evitare di cadere nella trappola di farli diventare dei numeri che raccolgo quando ho tempo e dopo che li ho raccolti li butto in un cassetto per guardarli un giorno che non arriverà mai. Il metodo migliore è programmare delle revisioni periodiche, coinvolgendo le persone che hanno una responsabilità per quegli obiettivi. Se si vogliono raggiungere i risultati, le due cose prioritarie e strettamente necessarie sono la determinazione e la perseveranza. A volte si vedono situazioni dove il metodo non è proprio dei migliori, le competenze potrebbero essere più profonde e le idee magari non sono il top, ciononostante il risultato è arrivato. Normalmente in quei casi, determinazione e perseveranza sono state così forti che sono riuscite a compensare quelle lacune. Non fraintendetemi, non sono convinto che queste due caratteristiche da sole siano sufficienti (le competenze, il metodo e le buone idee sono importantissimi), ma voglio dire che sono un ingrediente che non può mancare per arrivare al risultato e per arrivarci in tempi ragionevoli.

5. Tenere e implementare una lista di azioni pratiche per colmare il divario tra i valori misurati e quelli desiderati.

Durante queste revisioni periodiche dobbiamo verificare dove ci sono divari tra indicatori e obiettivi. Ogni volta che individuiamo un indicatore che non sta andando come vorremmo, dobbiamo cercare di elencare le possibili cause. Torniamo all’esempio fatto in precedenza, le ore produttive / ore presenza. Se questo indicatore è più basso di quello che ci siamo prefissati, alcune tra le possibili cause possono essere la mancanza delle materie prime alle macchine, il malfunzionamento delle macchine che provocano troppi fermi, gli operatori che fanno attività non necessarie, ecc. Per elencare le cause non c’è niente di meglio che osservare con attenzione le postazioni di lavoro per un po’ di tempo, finché non si sono individuati almeno i problemi principali. Poi con sistemi di rilevamento automatici possiamo avere un controllo costante e preciso, ma nelle prime fasi è sempre meglio una presenza diretta.

Il secondo passo è quello di definire delle azioni che mi portino a migliorare. Queste azioni devono essere di breve termine. Se ci viene in mente qualcosa a medio o lungo termine, dividiamolo in azioni brevi, che possiamo fare e verificare entro la prossima revisione. Devono essere pratiche. Stiamo sempre coi piedi per terra, facciamo cose concrete e che sappiamo fare. Devono portare un vantaggio sostanzioso. Almeno all’inizio, concentriamoci su azioni che portano un risultato sensibile, i dettagli lasciamoli per una seconda fase. Dobbiamo sempre definire un responsabile per ogni azione ed entro quando dev’essere portata a termine. Nella maggior parte dei casi, definire due o più responsabili equivale a non definirne nessuno e c’è un alto rischio che l’azione non venga conclusa nei tempi previsti. Come ultima cosa, non dimentichiamoci mai di scrivere tutto quello che decidiamo di fare, con le caratteristiche che abbiamo appena elencato, e di condividerlo con tutte le persone coinvolte. Questo eviterà fraintendimenti e dimenticanze.

Come aggregare i KPI per ottenere diversi livelli di dettaglio

Secondo la dimensione e la struttura aziendale, serve ottenere una sorta di albero dei KPI. I responsabili di aree specifiche useranno degli indicatori specifici, ma salendo nella struttura dell’azienda, servono indicatori più aggregati. Devono dare una visione di insieme dell’area al livello superiore, questo a scalare fino ad arrivare al direttore generale. Supponendo che tutti gli indicatori siano dei rapporti (quindi delle percentuali adimensionali), possiamo aggregarli calcolandone la media. E’ sempre meglio definire anche un peso per ogni indicatore, perché non tutti hanno lo stesso impatto. Ad esempio se ore produttive / ore presenza = 78%, ore produzione preventivate / ore produzione impiegate = 89% e ore imballaggio preventivate / ore imballaggio impiegate = 86% e valuto che l’impatto dell’imballaggio è piccolo confrontato alla produzione, posso decidere di dargli un peso inferiore. In questo modo nell’aggregato do più importanza agli altri due indicatori. Il calcolo potrebbe essere: (0,78 x 1 + 0,89 x 1 + 0,86 x 0,3) / (1 + 1 + 0,3) = 0,84. In questo caso abbiamo deciso che l’imballaggio pesa il 30% e gli altri il 100%. 

Un’altro metodo che si può utilizzare è quello di moltiplicare direttamente i rapporti tra loro (come abbiamo fatto sopra, anche se lo scopo era diverso). In questo modo gli effetti negativi non si mediano, ma si sommano e l’indicatore aggregato diventa più sensibile alle inefficienze. Anche in questo caso potrebbe avere senso utilizzare dei pesi diversi per i diversi indicatori, ma essendo un prodotto e non una media, dobbiamo agire diversamente. Supponiamo che, come prima, voglio dare un peso di 0,3 al terzo indicatore. Per prima cosa dobbiamo trovare il coefficiente “C” di questo peso, da moltiplicare per il terzo rapporto “R” (ore imballaggio preventivate / ore imballaggio impiegate). Non sarà semplicemente uguale a 0,3 come nella media pesata, ma per ottenerlo dobbiamo applicare la seguente formula: C = P x (R – 1) / R + 1 / R, dove “P” è il peso che voglio dare a quel KPI. Perciò nel nostro caso specifico diventerà: C = 0,3 x (0,86 – 1) / 0,86 + 1 / 0,86 = 1,114 e questo è il coefficiente da moltiplicare per il terzo indicatore nella formula di aggregazione: 0,78 * 0,89 * 0,86 * 1,114 = 0,67. Il risultato è un KPI aggregato che vale il 67%. Come vedete è sensibilmente più basso rispetto allo stesso calcolato con la media pesata, che era l’84%. Si può scegliere il metodo che si preferisce, l’importante è che si usi lo stesso metodo anche per aggregare i relativi obiettivi, altrimenti ci troveremmo a paragonare mele con pere.